MISTERI FRA I RESTI DEL FORTE D'EZZELINO

Nel 1237 Ezzelino Da Romano conquista Padova e inizia i lavori per la costruzione del castello con le due torri e le tetre prigioni, le cosiddette Zilie, considerate strumento di sterminio, in realtà una leggenda scritta dai vincitori, provetti anche allora nel manovrare la macchina del fango.

Sulla grande spianata all’interno del castello carrarese, con al centro la garitta con la madonnina ingabbiata, ricordo degli anni in cui il Castello svolse la funzione di casa di pena, sono venute alla luce poderose rovine, mura spesse oltre tre metri, massicci parallelepipedi di trachite, profondi alloggiamenti per plinti o colonne di sostegno.

L’area del castello carrarese con le sue mura e i due accessi, quello ampio dalla piazza e quello dalla porta d’acqua, protetta da ponte levatoio dal Tronco Maestro, è una grande miniera archeologica, un deposito multistrati d’arte e di storia. Alla base della Torlonga che sboccia in un vistoso barbacane è stato rinvenuto un muro romano. Questa è una delle parti più antiche della città, alla confluenza tra due corsi d’acqua: vi si trovano resti dell’età del bronzo.

Con Francesco il Vecchio da Carrara il castello diventa centro di cultura e corte principesca, è collegato alla Reggia Carrarese dal traghetto, passaggio sopraelevato abbastanza largo da far passare uomini a cavallo. Sono stati trovati affreschi del Guariento, fasce ornamentali con motivi floreali, medaglioni, piccoli deliziosi ritratti, stemmi araldici come lo struzzo, simbolo di Luigi re d’Ungheria, grande alleato dei signori di Padova contro Venezia. Questi tesori sono stati protetti dal terreno e dagli scialbi e sono riemersi nel corso dei restauri.

Il nuovo castello fu costruito su progetto dell’architetto Nicolò della Bellanda. Imponente, cinque piani, l’edificio che chiude il cortile a sud. Nel 1777 Domenico Cerato attrezza la Torlonga ad osservatorio astronomico: la Specola. Sbiadiscono i rombi bianchi e rossi che la trapuntavano. Nel 1806 l’architetto Danieletti, allievo del Cerato, riceve l’incarico di trasformare il Castello in carcere. C’è un periodo vuoto, un buco nella storia del Castello. In periodi di carestia diventa rifugio di disperati, senzatetto, affamati, che dormono per terra e muoiono di freddo.

Curiosità: è fatto divieto di far pascolare i maiali nel prato del Castello, questa misura di igiene urbana contrastava con la mancanza di fogne del carcere che costringeva il personale a trasportare le deiezioni dei detenuti in mastelli che venivano scaricati direttamente in canale.

 

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